sabato 29 gennaio 2011

per non dimenticare spagna

15 anni fa, in una plumbea domenica di fine gennaio, Vincenzo Spagnolo, detto Spagna, frequentatore della Gradinata Nord di Marassi, ultras del Genoa, rude boy dei carruggi e militante antagonista, veniva accoltellato mortalmente al cuore da un giovanissimo "casual" rossonero in prossimità della Gradinata Nord mentre si difendeva dal vile assalto a fil di lama intentato da un gruppo di milanisti. Quella fu una domenica di lacrime e sangue non solo per i genoani ma per tutta un'Italia ultras che si risvegliava dal torpore che una violenza codarda cresciuta nella tolleranza di molti, aveva allevato fino ad allora.
Il raduno della domenica successiva produsse il famoso documento eucumenico che recitava BASTA LAME, BASTA INFAMI, monito che allo stato attuale dell'arte ultras in Italia alcuni hanno rimosso, confondendo l'onore dello scontro con l'infamità dei vili che balugina dietro le spalle.... Per non dimenticare Spagna e tutti i ragazzi di stadio uccisi vigliaccamente dallo Stato o da infami pseudoultras, stringiamo un pugno contro il cielo e chiudiamo gli occhi in una lacrima rossoblù.
Ciao Spagna

sabato 8 gennaio 2011

tessera del tifoso che meraviglia




Incidenti durante Piacenza-Varese. Il sindaco: sabato 8 gennaio 2011 - 21.10Incidenti durante Piacenza-Varese. Il sindaco: "Colpa Maroni, chiederò danni"
Scontri sugli spalti, ferito steward, partita sospesa cinque minuti. Reggi: dimostrata totale inefficacia tessera del tifoso

Incidenti, partita sospesa e un ferito oggi a Piacenza durante l'incontro di serie B tra la squadra locale e il Varese. Il sindaco di Piacenza Roberto Reggi ha rivolto un duro attacco a Roberto Maroni.

Incidenti tra tifosi, ferito steward. La partita è stata sospesa per cinque minuti nel primo tempo dopo che alcuni gruppi opposti di ultrà sono venuti a contatto sugli spalti, prima di venire divisi dall'intervento degli addetti alla sicurezza e delle forze di polizia. E nel tentativo di tenere a distanza le due fazioni uno steward è stato malmenato da un tifoso varesino. Il contatto è avvenuto tra la parte sud dei distinti e la gradinata di rettilineo e la parte inferiore degli spalti e sono stati lanciati alcuni petardi. Quindi la partita è ricominciata con i tifosi ospiti circondati dalle forze dell'ordineTutti identificati gli oltre 70 tifosi del Varese protagonisti degli scontri. Lo steward ferito è stato medicato all'ospedale con 5 giorni di prognosi. Le immagini di quanto accaduto sono al vaglio degli inquirenti. A quanto si è appreso, lo steward ferito sta già offrendo agli investigatori un ulteriore contributo agli accertamenti destinati all'identificazione dei tifosi responsabili dei disordini. Il questore di Piacenza, Michele Rosato provvederà all'emissione dei Daspo.Il ministro dell'Interno Roberto Maroni è il «diretto responsabile» dei disordini tra tifosi. È la dura presa di posizione del sindaco piacentino Roberto Reggi che proprio a Maroni si riserverà di chiedere «sia il risarcimento dei danni di natura fisica e materiale arrecati allo steward coinvolto e, eventualmente, all'impianto sportivo comunale, sia dei danni di immagine per la città, che oggi è stata fortemente pregiudicata, in senso negativo, per quanto concerne la propria presentabilità e sotto il profilo della sicurezza percepita».

«Quanto è avvenuto oggi ha dimostrato, sul campo, la totale inefficacia preventiva della tessera del tifoso - ha sottolineato Reggi - Questo grave episodio, disdicevole e inaccettabile in sè, conferma purtroppo le mie apprensioni, già manifestate in tutte le sedi opportune, in merito all'uso e alla validità delle tessere. Non solo Maroni ha emanato una norma che porta i lupi tra gli agnelli, ma ha reso gli steward, mettendoli pericolosamente in prima linea, veri e propri agenti di sicurezza». Un compito «delicatissimo» che per Reggi «non si può ricoprire per decreto, ma per il quale occorrerebbe una preparazione lunga e adeguata». Anche per questo, ha concluso, «non posso restare in silenzio di fronte alla violenza di cui lo stadio Garilli è stato teatro, per ironia della sorte proprio a causa di una tifoseria concittadina del signor Ministro».l segretario provinciale della Lega nord, Pietro Pisani, replica al sindaco: «Il decreto Maroni, dati alla mano, ha dimostrato di funzionare e la tessera del tifoso ha portato a un calo del 50% degli incontri con incidenti e a una diminuzione del 90% del numero dei feriti. Se ci sono cose da migliorare il sindaco dia il suo contributo, invece di disertare i tavoli col ministro dell'Interno, come ha fatto anche il 29 novembre scorso a Parma».

Fonte e foto: ilmessaggero.it

il nostro calcio

IN UN CALCIO CHE NON HA BANDIERE SIAMO SOLO NOI ULTRAS VECCHIE MANIERE!

altra vittima dello stato

Marcello Lonzi. Morto in carcere con 8 costole rotte e 2 buchi in testa per un infarto

La pena di morte è stata abolita dalla Costituzione nel 1948. In carcere muoiono però ogni anno più di 100 detenuti in circostanze misteriose. Ad esempio un ragazzo può morire di infarto a Livorno, lo dice il medico del carcere, con otto costole rotte, due denti spezzati, due buchi in testa, mandibola, sterno e polso fratturati. Di infarto, non a causa di un pestaggio. Marcello Lonzi, un ragazzo, era stato condannato per tentato furto, nove mesi di reclusione. Sua madre vuole la verità e le scuse dallo Stato che avrebbe dovuto vigilare sulla vita di suo figlio.
Intervista a Maria Ciuffi, mamma di Marcello Lonzi:
Otto costole rotte, due buchi in testa per un infarto
"Sono Maria Ciuffi, la mamma di Marcello Lonzi, morto l’11 luglio 2003 nel carcere Le Sughere a Livorno. Fu arrestato per tentato furto, nove mesi di reclusione, dopo quattro mesi mio figlio muore. Nessuno mi avverte, non vengo avvertita né dai Carabinieri né dalla Polizia, ma soltanto da una zia il giorno 12 alle 13: 20, quando mi vengono a avvertire a casa, dicendo che mio figlio è morto. Io ho detto “ E' impossibile, sarà un errore!”,corro al carcere e dopo un’ora e mezzo - ricordo benissimo - sotto il sole mi vengono a dire che mio figlio non c’era, ma che gli stavano già facendo l’autopsia. Naturalmente non ero in me con la testa, ero in confusione e non ho mai pensato, in quel momento, di mettere un perito di parte. A settembre rientra il Pubblico Ministero che aveva svolto le indagini e mi dicono che è morto d’infarto, però quando l’ho visto il giorno 13 nella bara quello che non mi è.. quelli che mi sono apparsi subito all’occhio sono stati i tre segni che lui aveva sul volto e i tre segni erano molto profondi. Poi degli amici gli hanno voluto mettere una bandana, una fascia alla fronte e lì ci siamo accorti che lui aveva un buco, perché il dito è penetrato dentro. Aspetto settembre /ottobre, se mi danno un po’ di risposte, il magistrato è il dott. Roberto Pennisi e lui continua a dirmi che è morto d’infarto o è morto da stress, come c’era scritto sulla perizia. Nel 2004 viene archiviato tutto con morte per cause naturali: ora io, in possesso della perizia, dove leggo che ci sono due costole rotte, una mandibola fratturata (sinistra), lo sterno fratturato, un’escoriazione a V, insomma, morte per arresto cardiaco, per infarto, mi sembra strano. Comunque viene archiviato il 10 dicembre, allora avevo l’avvocato Vittorio Trupiano di Napoli, a quel punto mi dice “Guarda, Maria, non c’è da fare niente, l’unica cosa che si può fare per fare riaprire il caso è che, se tu vuoi, però rischi, devi denunciare un magistrato o a Bologna, o a Firenze, o a Genova”. Niente, vado a Genova, presento denuncia al magistrato Pennisi, dopo quattro mesi circa vengo chiamata a Genova e il dott. Fenizia di Genova archivia la denuncia al magistrato Pennisi, ma fa riaprire il caso alla Procura di Livorno, dicendo che, basandosi sulle foto, che facciano ulteriori indagini, perché c’è qualcosa che non torna.
Nel 2006 viene riesumata la salma di mio figlio e si scopre che le costole non sono più due, ma bensì otto e che non c’è solo un buco in testa, ma ce ne sono due, di cui uno profondo fino all’osso e addirittura ci trovano attaccata la vernice blu scura della cella. Si trova anche il polso sinistro fratturato, di cui il primo medico legale Alessandro Bassi Luciani non aveva parlato. A questo punto, parlando con l’avvocato, dice “Qui c’è qualcosa che non torna, queste sono botte”, perché dalle foto si capisce che sono botte, però quello che ho notato è che hanno riarchiviato adesso, nel 2010 a insaputa nostra.Io ero stata convocata per il 25 maggio e invece il 19 vengo chiamata addirittura dai giornalisti di Livorno, che mi dicono: “Signora Ciuffi, il Procuratore capo Francesco De Leo ha chiesto l’archiviazione” Io dico: “ E' impossibile, perché sono stata convocata per il giorno 25 dal dott. Giaconi, quello che sta svolgendo le indagini”, invece purtroppo era così.

martedì 4 gennaio 2011

CATANIA Morto in carcere a 19 anni, la madre non si rassegna: «Non è stato suicidio»


CATANIA - Per i magistrati la morte di Carmelo Castro è un caso chiuso, ma la madre non si rassegna e con lei l’associazione Antigone che ora ha ufficialmente presentato un’istanza alla Procura di Catania per chiedere di riaprire le indagini.
Carmelo Castro è morto in carcere il 28 marzo del 2009, a soli 19 anni. Era stato arrestato per aver fatto il palo in una rapina. Tre giorni dopo aver varcato il portone del carcere di Piazza Lanza si è suicidato legando un lenzuolo allo spigolo della sua branda. Cosi è stato scritto nella relazione di servizio e questo ha confermato anche il gip Alfredo Gari che ha già respinto una prima richiesta di riapertura delle indagini presentata dalla famiglia del ragazzo.
LA MADRE - Ma la madre Grazia La Venia non si stanca di ripetere: «Mio figlio non può essersi suicidato, non era in grado nemmeno di allacciarsi le scarpe da solo, figuriamoci attaccare un lenzuolo alla branda e impiccarsi». Al suo fianco ora si schiera l’associazione Antigone che nell’esposto alla Procura si sofferma sulle troppe stranezze di questa vicenda e sull’inchiesta condotta in modo a dir poco frettoloso. «Nel corso delle indagini preliminari non è stato disposto il sequestro della cella, né del lenzuolo con il quale Castro si sarebbe impiccato –si legge nell’esposto- a questo, si aggiunga che non è stato sentito nessuno del personale di polizia penitenziaria intervenuto, né il detenuto che avrebbe portato il pranzo a Castro e che sarebbe l’ultima persona ad averlo visto ancora da vivo».
I DUBBI - La denuncia riprende molti dei dubbi già sollevati dal legale della famiglia Castro. «Come può una persona che muore impiccandosi presentare delle ipostasi, cioè addensamenti di sangue alla schiena, e non agli arti inferiori? –si chiede l’avvocato Vito Pirrone - e ancora come può chi sta per suicidarsi consumare un pasto abbondante come risulta dall’autopsia e tra l’altro in un contesto in cui non si capisce quando sia stato distribuito il vitto ai detenuti? Perché un detenuto suicida viene trasportato in ospedale a bordo di un’auto di servizio e non in ambulanza?». L’associazione Antigone arriva addirittura a chiedere la riesumazione del cadavere per accertare, se ancora possibile, eventuali tracce del «pestaggio a cui secondo la denuncia della famiglia sarebbe stato sottoposto nella caserma dei carabinieri e che sono visibili dalla stessa foto segnaletica».
Carmelo Castro
Carmelo Castro
LE FREQUENTAZIONI - Nell’esposto si ricostruisce anche il contesto delle frequentazioni del giovane. Un gruppo di pregiudicati del suo paesino, Santa Maria di Licodia, con i quali si era reso responsabile della rapina per la quale è stato arrestato. Gli stessi che pare non lo volessero assolutamente fare uscire dal giro e che per questo lo avrebbe anche minacciato e picchiato. Particolari raccontati dallo stesso Castro ai carabinieri dopo l’arresto «da tempo vivo in una condizione di assoluta paura –fece mettere a verbale quel giorno - poiché a seguito dell’arresto di Vincenzo Pellegriti, detto u chiovu, molti dei soggetti pericolosi che lo stesso serviva hanno iniziato a pensare a me come il suo naturale successore. Tale scelta da parte di questi individui forse è stata dettata dal fatto che i medesimi vedevano nel sottoscritto un ragazzo che era rientrato dalla Germania e che quindi non aveva particolari legami con alcuno e contestualmente non era particolarmente in vista alle forze dell’ordine». Sempre in quella occasione Castro precisava: «Il mio stato di soggezione ad altri soggetti del gruppo deriva dal fatto che gli stessi mi hanno spesso picchiato. Ricordo, in particolare, che meno di un mese fa gli stessi mi fratturarono il naso perché mi rifiutavo di aiutarli in alcune scorribande ed altri reati che gli stessi avevano progettato di compiere». Che questi retroscena possano avere un nesso con la misteriosa morte in carcere è tutto da verificare ma, secondo l’associazione Antigone, nuove e più approfondite indagini potrebbero servire a fugare definitivamente ogni dubbio sulla morte di un ragazzo di appena 19 anni.
Alfio Sciacca
(asciacca@corriere) 

domenica 2 gennaio 2011

foggia-benevento

ecco tutto quello che non funziona famosa card di maroni


Il 3 gennaio verranno riaperte le porte dello stadio di via del Mare per il derby di Puglia, Lecce-Bari, mentre a fine gennaio l'Osservatorio del Viminale terrà una riunione coi club per fare il punto sui pregi (pochi) e difetti (tanti) della tessera del tifoso. Va riconosciuto al ministro Roberto Maroni di essere stato coerente: ha difeso sempre la sua "creatura" ma adesso dovrà, da persona intelligente qual è, prendere atto che qualcosa (molto) va rivisto a fine stagione, che così la card crea solo complicazioni, e non solo ai tifosi ma anche al Viminale, alle questure. Lasciamo perdere il prefetto di Lecce, Mario Tafaro, che forse "ispirato" dal sottosegretario Mantovano, ha preso un provvedimento, quello di chiudere lo stadio, "impallinato" subito da tutti, a cominciare da Maroni. Lunedì prossimo, quindi, dietrofront: stadio riaperto per tutti (non solo per i tifosi leccesi come suggerisce il sindaco Perrone: altra follia!), e quindi anche per i baresi "tesserati". E' chiaro che ci sarà un numero limitato di posti disponibili per i baresi: non potranno entrare tutti quelli che hanno la tessera ma solo seimila. Ma questo succede in tutti gli stadi: non è che i quarantamila interisti "tesserati" possono andare tutti a Brescia o a Verona. Ogni stadio ha una sua quota riservata agli ospiti. Ma la tessera ha mostrato le crepe più evidenti proprio per le trasferte: secondo la volontà di Maroni la card ''agevola l'acquisto dei biglietti, snellisce la procedura di accesso allo stadio, esenta dalle specifiche restrizioni che potrebbero essere imposte per motivi di ordine pubblica per le partite sia in casa che in trasferta, dà accesso a tutte le agevolazione le facilitazioni, rende il tifoso protagonista della propria sicurezza''. Quindi, con la tessera via libera alle trasferte. Questo nelle intenzioni, in realtà si è andati ad esperimenti, e a volte i questori-per uscire dalle secche-hanno fatto di loro iniziativa non tenendo conto delle disposizioni "maroniane". Risultato? Un caos. Tifosi mischiati in tribuna, tesserati nelle gabbia dei tifosi ospiti, gli altri sparsi ovunque. Ora si cercherà di mettere ordine. Come? Intanto ci saranno trasferte ad alto rischio (vedi derby di Puglia e Inter-Napoli) aperte solo ai tesserati. In altre occasioni, invece, chi non ha aderito al progetto-Maroni potrà lo stesso andare in trasferta ma sarà confinato nella gabbia, nel settore ospiti. Mentre i tifosi "bravi" (per il Viminale), cioè quelli tesserati, troveranno posto da altre parti dello stadio. Così si spera di risolvere il problema. A mio parere non servirà a nulla, ma aumenterà tensione e confusione. Sinora sono pochi i tifosi che hanno seguito la squadra del cuore fuori casa: la media spettatori a partita è intorno ai 24.200 in Serie A e non decolla di sicuro. E non decollerà. Il calcio-spezzatino, comunque, agevola il compito del Viminale: non ci sono più incontri a rischio fra tifoserie, come in passato, lungo le vie di trasporto mentre i biglietti nominativi e la tessera hanno tolto a molti capi ultrà il business (e questo può essere un vantaggio) in casa come in trasferta. Anche se adesso le curve non si sa a chi sono in mano, mancano punti di riferimento. Ora riprende il campionato: attenzione non solo al derby di Puglia ma anche a Inter-Napoli. Da quest'anno i napoletani sono tornati in trasferta ma ci sono stati, fortunatamente, ben pochi problemi. Bene anche Milan-Roma, con tanti tifosi giallorossi che si sono comportanti con grande serietà. Si è rigiocato il derby di Sicilia, Palermo-Catania, con le due tifoserie: non succedeva dai tempi di Raciti, importante è stato il comportamento saggio e il buon senso dei due presidenti (Zamparini e Pulvirenti). Qualcosa di positivo c'è indubbiamente, e ne va dato atto anche ai tifosi. Tifosi che fra tessera, biglietti nominativi, tornelli e documenti chiesti ( da qualche sprovveduto) anche ai bambini si devono sottoporre sovente ad uno slalom assurdo e a vessazioni continue per poter andare allo stadio. Va bene riaprire gli impianti alle famiglie, va benissimo progettare di abbattere le barriere (siamo ancora lontani): ma, caro ministro Maroni, è davvero convinto che questa sia la strada giusta? Che la tessera sia necessaria?

sabato 1 gennaio 2011

Capodanno, gli Ultras occupano simbolicamente di spalti del Ceravolo



Venerdì, 31 Dicembre 2010 19.18 - Riceviamo e pubblichiamo una nota degli Ultras Catanzaro 1973
Mentre tutti sono intenti a sbollentare le ultime lenticchie e a travasare gli ultimi litri di vino per festeggiare nel migliore dei modi l'anno nuovo, noi Ultras Catanzaro 1973 abbiamo deciso di dare un segnale a chi crede di aver messo a tacere la nostra fede e la nostra passione. Qualche minuto fa (la sera del 31 dicembre ndr)radunatici fuori dal glorioso ''Nicola Ceravolo' scavalcando gli inutili e obbrobriosi tornelli , abbiamo deciso di brindare al nuovo anno proprio nel posto in cui questo maledetto 2010 non ci ha visto protagonisti per la prima volta negli ultimi 37 anni della nostra storia, i gradoni della Massimo Capraro. Abbiamo esposto il nostro striscione principe ''Ultras' e innalzato uno a tema che recitava: il Veglione più bello che ci sia...con gli Ultras a casa mia.

Quest'azione non è voluta essere solo una goliardata di fine anno ma un appello disperato, affinché qualcuno si metta la mano alla coscienza e una al portafoglio e ci faccia uscire da questo oblio che attanaglia le sorti del Catanzaro calcio. In una città dove il calcio è un colosso sociale, per alcuni una ragione di vita, dobbiamo assistere inermi di fronte ai continui battibecchi politici dei vari consiglieri, deputati e onorevoli che si scaricano a vicenda le colpe di questa triste situazione, ma ormai smascherati della loro insignificante impotenza avendo dimostrato , tutti gli schieramenti accorsi al capezzale del Catanzaro , di contare quanto il due di bastoni quando la briscola è a denari. Con gli inizi del nuovo anno i libri sociali di questa fandonia chiamata FC finiranno in tribunale liberandoci anche di questi tre(Santaguida, Catalano e Ferrara) (...) che sulla falsa riga di Bove, Soluri e Aiello pensavano che il Catanzaro si potesse gestire con i soldi del Monopoli. Questa volta non inneggeremo a nessun venditore di caffè, di surgelati o supermarkettista, ma ci affidiamo al fato e sogniamo ad occhi aperti, sperando che qualcuno dal buio raccapricciante del tribunale ci riporti nell'olimpo al fianco degli Dei, noi siamo pronti a ripartire anche dalla terza categoria purché i nostri occhi rivedano le inconfondibili strisce giallorosse e le nostre orecchie risentano il boato della Massimo Capraro. Buon Anno

La Peggio Gioventù - Incontri Casuali

RESA ZERO



"Tesserato infame dichiarato". "Abbonato servo dello Stato". Con questi slogan sinistri - una specie di mantra vergato a spray sui muri degli stadi, sugli striscioni esposti in curva, e diffuso sui blog attraverso il passaparola incessante delle tifoserie - gli ultrà italiani hanno dichiarato guerra allo Stato. La loro è una guerra silenziosa. Combattuta, fino a ora, nella penombra. Il tempo della contestazione sembra però scaduto. Nelle curve si parla da settimane di una fase due, di azioni dimostrative e violente. È da leggersi in questo senso la decisione della prefettura di Lecce di far giocare il derby di Puglia, Lecce-Bari a porte chiuse: la paura erano gli scontri tra le due tifoserie. Così come a Milano c'è grande tensione per la partita di mercoledì 6 gennaio (alle 20.30) con il Napoli, con il gruppo organizzato dei Mastiffs pronto a invadere San Siro con e senza tessere. L'obiettivo di questa guerra ultrà è l'abolizione della tessera del tifoso, la "fidelizzazione" del popolo degli stadi introdotta dal ministro degli Interni Roberto Maroni per avere una schedatura precisa degli spettatori che assistono alle partite di calcio: si tratta di un passpartout - contenente i dati anagrafici - obbligatorio per chi vuole vedere la partita in trasferta e per chi ha sottoscritto l'abbonamento per gli incontri casalinghi. Sono circa 600mila quelle sottoscritte. "Un successo" dicono al Viminale, "che porta più sicurezza e più gente allo stadio". Ma non è del tutto vero. Le presenze sono calate quest'anno mediamente di 1.500 unità, circa il 6 per cento. E soprattutto per decine di migliaia di tifosi ribelli la tessera è come se non esistesse: non ce l'hanno, ma loro allo stadio vanno comunque. In casa e in trasferta.

Ma allora che cosa sta succedendo negli stadi dopo il varo della tessera del tifoso? Come è possibile che i tifosi più estremisti riescano a dribblare i divieti imposti dalla schedatura e ad accedere ugualmente agli impianti? Domande che evocano un dubbio fondamentale: visto che i prefetti sono costretti a far giocare le partite a porte chiuse, la tessera del tifoso è fallita?

Come promesso già dalla fine del campionato scorso, e come annunciato quest'estate a colpi di bombe carta dagli ultrà atalantini nell'agguato a Maroni alla Berghem Fest leghista di Alzano Lombardo, la maggior parte degli ultrà italiani stanno boicottando la tessera. Con un unico "cartello" - in grado persino di sotterrare per l'occasione rivalità storiche come addirittura quelle tra Lazio e Roma, Palermo e Catania, Bari e Napoli, Atalanta e Brescia - stanno mettendo in pratica ogni domenica la loro forma di "resistenza" spontanea ma quasi sempre organizzata.

LE REGOLE AGGIRATE
Gli ultrà la tessera non l'hanno fatta. Ma nonostante questo provano - e riescono - a entrare allo stadio tutte le domeniche: comprano i biglietti non di curva e si mischiano nelle tifoserie avversarie. Roma-Milan, partita ad altissimo rischio prima delle feste natalizie, è stata aperta anche a chi non aveva la tessera proprio perché la polizia temeva azioni di violenza da parte degli ultrà giallorossi, se non fossero entrati a San Siro. D'accordo con le altre tifoserie, inoltre, i gruppi organizzati hanno cominciato un'attività "deterrente". Nel lessico curvaiolo deterrenza sta per botte. Anche chi ha la tessera, non deve andare nel settore ospiti. Deve andare in altri settori e mischiarsi con i tifosi di casa. "Devono avere paura" dicono. Ecco alcuni esempi di trasferte "in contromano". Ottocento genoani a Udine; 200 bresciani a Lecce; 500 doriani a Torino; 100 fiorentini a Genova; 500 juventini a Milano; 700 novaresi a Torino; 100 padovani a Siena; 300 carrarini a Poggibonsi; 400 cesenati a Roma; bolognesi e parmensi all'esterno dello stadio Cibali di Catania; 50 udinesi e 50 leccesi a Milano.

Fino a oggi gli ultrà hanno scelto quella che i capi tifoseria chiamano linea "soft". Ma ora - ammette uno dei leader riconosciuti dell'ala più dura della tifoseria del Napoli - non "garantiamo più che allo stadio non accada nulla". Non si tratta di un generico manifesto politico. Si tratta di un piano ben organizzato a tavolino, tra luglio e settembre, quando oltre 60 tifoserie si sono riunite prima a Catania e poi in provincia di Roma. Unico obiettivo dei due incontri: far fallire la tessera del tifoso. Per aggirare i paletti imposti dalle Prefetture e dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, gli ultrà acquistano, anche con largo anticipo, biglietti di altri settori. "Ognuno si organizza come vuole - spiega Claudio Galimberti detto "Bocia", capo degli ultrà della curva Nord atalantina sottoposto a Daspo - si parte in trasferta con mezzi propri e si acquistano biglietti di altri settori. Per questo spesso ci si trova in mezzo ai tifosi avversari. È una situazione molto delicata".

Una situazione che preoccupa anche gli analisti. "I problemi ci sono" ammette Maurizio Marinelli, direttore del centro studi sulla sicurezza pubblica della polizia di Stato, uno dei massimi esperti in Italia di ultrà e di ordine pubblico negli stadi. "L'allarme arriva dal fatto che sempre più spesso ci troviamo di fronte a tifosi senza tessera che, in trasferta, comprano i biglietti e si schierano in mezzo ai tifosi di casa, con altro rischio scontri. Per il momento è andato tutto abbastanza liscio, ma qualcosa bisognerà fare". Cosa? "Primo: fino a oggi, e in certi casi ancora oggi, vedi i serbi a Genova, gli ultrà venivano concentrati in un settore. Questo li rendeva più forti poiché compatti. Se invece questa forza della massa la spezzetti, la sparpagli, si frammenta, diventa più debole e più controllabile da parte di stewart e forze dell'ordine. Secondo: le curve sono cambiate. Tra Daspo e arresti c'è stato un ricambio dei capi. Le figure di riferimento che c'erano prima oggi non ci sono più. È tutto più liquido, più confuso. Terzo: se non ammoderniamo gli stadi, se non li facciamo più piccoli, più sicuri e di proprietà dei club, non abbiamo fatto niente".

COME CAMBIA LA GEOGRAFIA DEL TIFO
Come sta cambiando il mondo ultrà? E con quali conseguenze? Le prove che la strategia sta sconvolgendo (pericolosamente) le abitudini dei tifosi, aggiornando la geografia del tifo, gli spostamenti, i viaggi, gli orari, la composizione dei settori, si stanno moltiplicando domenica dopo domenica. Per capire la portata del fenomeno basta guardare i settori ospiti, quelli appannaggio di chi ha la tessera, in una qualsiasi partita di serie A. La Lega calcio dice di non essere in possesso di dati ufficiali sulle presenze dei supporter che seguono la propria squadra in trasferta. Ma ci sono esempi eloquenti. Durante Bari-Cagliari nello spicchio dello stadio San Nicola riservato ai tifosi sardi c'era un solo spettatore. E una decina di steward attorno per controllarlo. In compenso un folto gruppo di ultrà cagliaritani faceva capolino in gradinata in mezzo ai baresi. Alzando il livello di tensione di una partita considerata "tranquilla".

Quando i baresi sono andati a Napoli al seguito del Bari - nel caldissimo derby del Sud (12 settembre), solitamente ad alto rischio incidenti - fuori dai cancelli del settore ospiti si sono trovati, alleati, i capibastone delle due tifoserie. Hanno ricevuto un brusco stop al grido di "chi entra prende un sacco di botte". Risultato: settore ospiti deserto. "I ragazzi hanno capito i motivi della nostra protesta e si comportano di conseguenza, non c'è stato bisogno di esagerare - racconta Alberto Savarese, "Il Parigino", uno dei responsabili della Nord barese insieme con Roberto Sblendorio, "Robertino" - In ogni caso noi non abbiamo obbligato nessuno a non sottoscrivere la tessera: capiamo che molti hanno fatto l'abbonamento, e quindi la card, per una ragione economica. Ma ci fa piacere che in trasferta, anche chi potrebbe andare nel settore ospiti, preferisce venire con noi". L'A. S. Bari ha richiesto alla Lega 16.700 tessere, ottenendone duemila circa nelle ultime settimane, proprio in vista del derby con il Lecce. A Milano, però, nella gara contro l'Inter (22 settembre), gli ultrà pugliesi non hanno comprato di proposito i biglietti "ospiti" ma quelli del terzo anello rosso. Sono saliti in gradinata, hanno cacciato gli abbonati dai loro posti e si sono seduti a fianco ai tifosi dell'Inter. Non è stata l'unica partita nella quale due tifoserie avversarie sono entrate in contatto. A Genova per Sampdoria-Napoli (19 settembre) c'erano solo una ventina di supporter napoletani nella "gabbia nord", il settore ospiti, mentre il gruppo più numeroso ha preso posto nei distinti, diviso dai sampdoriani da qualche stewart. Al gol vittoria del Napoli, gli ultrà hanno acceso un fumogeno e si è sfiorata la rissa. Raggruppamenti estemporanei, e ad alto rischio, anche in occasione di Milan-Genoa (25 settembre) allo stadio di San Siro. Partita tradizionalmente blindata. Un manipolo di ultrà genoani si è piazzato in mezzo ai tifosi del Milan al terzo anello rosso. All'inizio del secondo tempo i tifosi ospiti hanno tirato un petardo nelle file sotto: fuggi fuggi dei milanisti e forze dell'ordine in allarme. A Lecce, il 24 ottobre, sono volati pugni tra i bresciani e i salentini. A Bergamo, invece, l'Atalanta ha fatto il record di abbonamenti per la serie B (oltre 17mila) nonostante la retrocessione dell'anno scorso. Ma gli ultrà sono stati di parola: niente tessera e niente abbonamento. Ad Atalanta-Torino (10 ottobre) sono arrivati 70 ultrà torinesi che avevano acquistato - volutamente - biglietti di tribuna (la trasferta era vietata, ticket in vendita solo per residenti in Lombardia) ma che per evitare prevedibili disordini sono stati sistemati nel settore ospiti: il fallimento pratico della tessera. Non solo: le forze dell'ordine in assetto antiguerriglia sono state impegnate fino a mezzanotte e mezza per scortare un corteo di quindici auto.

LE INTIMIDAZIONI NELLE CITTÀ
Quali sono i "laboratori" della protesta? Chi studia i piani per affondare la card del tifoso? Fino a oggi i supporter del Napoli sono stati tra i più intransigenti. Campagne capillari in tutti i quartieri della città con la scritta "Non abbonarti, non tesserarti". Lo zoccolo duro della tifoseria non ha sottoscritto la tessera anche perché molti non avrebbero potuto a causa del famoso articolo 9 del regolamento, che la vieta a chi ha auto un Daspo - il provvedimento di allontanamento dagli stadi per disordini - negli ultimi cinque anni. "È anticostituzionale", dicono gli ultrà per sostenere la loro causa.

Ma tant'è. A Napoli qualcuno ha provato a bluffare. La procura (che ha creato un apposito pool di magistrati sui reati da stadio) ha avviato un'indagine conoscitiva partendo dal sito del tifo organizzato biancoazzurro dove erano state pubblicate tutte le procedure per falsificare la card. Fatti salvi i tarocchi, dunque, le tessere sottoscritte sono pochissime: meno di 15mila, su una media in questa stagione di circa 39mila spettatori a partita. "Abbiamo fatto un'opera di convincimento sui nostri ragazzi" dice uno dei capi della dei gruppi che dominano nella curva A. Chi frequenta il San Paolo, e i detective che si occupano dei teppisti, hanno ancora in mente i pestaggi di fine campionato scorso, proprio durante una protesta, in quel caso contro la società: le telecamere della Digos ripresero alcuni personaggi intenti a convincere altri tifosi, con pugni e calci, a lasciare la curva vuota come prevedeva la protesta.

Un mondo a se stante, quello delle cupole del tifo. Quattrocentocinquanta gruppi ultrà di cui 234 politicizzati: 61 (nel 2008 erano 58) hanno forti legami con movimenti di estrema destra e 28 sono vicini a formazioni radicali di sinistra. I più pericolosi sono i Bisl romanisti, I Mastiff del Napoli, la Banda Noantri della Lazio, le Brigate autonome livornesi, i Korps della Fiorentina, gli Irriducibili dell'Inter, i Drunks del Catania. Gli ultimi allarmi lanciati dal Viminale riguardano la contiguità delle tifoserie di Roma e Lazio con i gruppi di estrema destra, la vicinanza di alcuni gruppi di Napoli e Catania con la criminalità organizzata, l'estremismo razzista di diverse tifoserie del nord, Inter e Verona su tutte. Ma adesso c'è un nuovo allarme.

La complicata evoluzione dell'era-tessera del tifoso è seguita da vicino dall'osservatorio del ministero degli Interni, dalle questure di tutta Italia (molte hanno costituito un'apposita squadra - stadio) e anche dai servizi segreti. Nell'ultimo rapporto consegnato al Parlamento, la nostra intelligence ha ribadito la "contiguità tra frange di tifo organizzato e estremismo politico". Una saldatura caratterizzata da una "forte avversione nei confronti delle forze dell'ordine" che "in alcuni casi lascia ipotizzare anche disegni preordinati". Come dichiarare guerra allo Stato.



FIERI DELLE NOSTRE ORIGINI

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